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La storia di Borgo San Michele

 
Borgo San Michele nacque nel 1929‑31 per opera del Consorzio di Bonifica di Piscinara col nome di “Villaggio operaio a Capo­grassa”.
La costruzione di questo villaggio operaio nella loca­lità di Capograssa fu disposta per accogliere le numerose maestranze impegnate nella esecuzione dei lavori della bonifica nella zona più infamata della palude, ove le acque ristagnavano da millenni.
“Occorreva, infatti, dare agli operai la possibilità di soggiornare in loco, usufruendo di dormitori moderni moderni aventi i dovuti apprestamenti di protezione antianofelica: si doveva altresì dare agli operai la possibilità di usufruire di un efficiente servizio sanitario e delle prov­videnze predisposte per fare loro sentire il meno possibile il disagio del soggiorno in località deserta e la lontananza dalle proprie famiglie”[1].
Il villaggio operaio di Capograssa è stato il quin­to in ordine di tempo ad essere costruito dal Con­sorzio di Piscinara, dopo Sessano, ora Borgo Podgora, Passo Genovese, ora Borgo Sabotino, Casal dei Pini, ora Borgo Grappa, Doganella. Ciò dipese dal fatto che la località ove doveva sorgere presentava più delle altre serie difficoltà di accesso. Esso infatti era in una situazione diversa rispetto agli altri che l'ave­vano preceduto in ordine di tempo e che erano sorti in località, diremo così, già note e bene indi­viduate,alle quali, anche se con difficoltà di un certo grado, si poteva accedere per i rilievi neces­sari primadi por mano ai lavori (Sessano e Passo Genovese sul vecchio tratturo demaniale che dalla via Appia portava al litorale; Doganella sulla stra­da Ninfina; Casale dei Pini sulla carraia a mar­gine della Macchia di Vozza a poca distanza dal preesistente casale omonimo).
Capograssa invece doveva sorgere nel bel mezzo di una boscagliadi quercioli alternata da folte macchie di erica – i famosi scopeti -, che si estendeva per chilometri e chilometri oltre il crinale della Duna Quaternaria, fin verso il mare, mentre dalla parte opposta, cioè verso i Monti Lepini, si estendeva fino alla zona, sempre allagata, delle Congiunte e, a valle di questa, fino a quella, pure paludosa, tra­versata dal Fiume Sisto.
I lavori di bonifica, facenti capo a questo villaggio, riguardavano principalmente l’apertura del nuovo Collettore delle Acque Medie, il quale proveniva dalle zone più alte di Piscinara. In località Capograssa il Collettore era portato a seguire un tracciato che correva parallelo al Fiume Sisto, già aperto da oltre tre secoli; dopo alcuni chilometri, oltrepassata di poco la località Passo San Donato, doveva voltare decisamente verso destra per affluire dentro l’antichissimo corso del Rio Martino e giungere così fino al mare.
Un altro lavoro notevole per la sua mole, assegnato agli operai che risiedevano nel villaggio di Capograssa, era quello relativo all’allargamento e approfondi­mento del preesistente Fiume Sisto per fargli assumere la nuova funzione di Collettore delle Acque Basse; infatti, nella vicina località chiamata “Le Congiunte” nel suo alveo affluiva tutta la rete dei canali scolante la zona più bassa della palude di Piscinara.
 
Il nome di Capograssa venne preso da quello di una lestra vicina, a circa mezzo chilometro in direzione del Quadrato, ove in una radura della boscaglia sorgevano alcune baracche e capanne di proprietà dell’Università Agraria di Sermoneta. Questa Università Agraria era in quel tempo proprietaria di una vasta zona all’intorno di oltre duemila ettari, la quale, insieme ad altre zone di terreno situate a nord della Via Appia, costituiva una grande proprietà comune sulla quale esercitavano i cosiddetti “Usi Civici” (legnatico, pascolo, ecc.) tutti i nativi di Sermoneta.
 
La posizione di questo villaggio era stata scelta dal progettista, ing. C. B. Pancini in modo che nel villaggio stesso potessero trovare – come già detto sopra - immediato appoggio le squadre di operai ed i mezzi d'opera ai quali sarebbero stati affidati, nel giro di alcuni chilometri, l'apertura del Collettore delle AcqueMedie, l'ampliamento del fiume Sisto, la costruzione della canalizzazione secondaria delle acque medie e basse, la costruzione delle strade ed ogni altro lavoro di bonifica.
La posizione venne anche stabilita con criteri più generali, che tenevano presente la necessità di distribuire razionalmente i costruendi villaggi nella estesa zona bonificata, così da poter creare centri di sicuro appoggio alla popolazione rurale che, dopo alcuni anni, si sarebbe stabilita nelle campagne bonificate.
Per la costruzione di questo villaggio, gli uomini di Piscinara si trovarono per la prima volta a dover operare secondo linee obbligate nel folto di una boscaglia fitta ed intricata, solcata da valloni profondi; il problema dell'esatto orientamento dei tracciati stradali, in ambiente con visibilità prati­camente nulla, venne affrontato e risolto con un attento esame delle carte topografiche della zona.
Dallo studio effettuato si constatò che la posizione più conveniente nella quale far sorgere il villaggio di Capograssa risultava essere sul prolungamento della strada Migliara 43, sulla destra del Fiume Sisto. La strada Migliara 43, costruita con la bonifica di Pio VI sul finire dei 1700, si distaccava dall’Appia a Foro Appio ed era semplicemente uno stradone di campagna a fondo naturale, che, fiancheggiando la Fossa omonima, giungeva fino a pochi metri dall'argine di sinistra del Sisto.
Il progetto di bo­nifica prevedeva di prolungare la strada Migliara 43, oltrepassando, con gli opportuni ponti, tanto il Fiume Sisto quanto successivamente il Collettore del­le Acque Medie, allora in fase di studio; superato il Collettore, il rettilineo stradale doveva continuare per circa 300 metri, fino cioè al centro del costruendo villaggio.
Sulle tavolette topografiche della zona, che erano state aggiornate dai rilevatori dell’Istituto Geografico Militare nel 1927, vennero segnati i tracciati delle strade che in quattro direzioni diverse dove­vano dipartirsi dal predetto punto, e precisamente nelle direzioni del Quadrato, di Colle Morello (Se­gheria di Fogliano), Passo San Donato e del già in­dicato prolungamento della strada Migliara 43 ver­so il Sisto e la Via Appia.
 
“Dopo che fu picchettato sul terreno il punto di centro del nuovo villaggio, fu necessario affrontare il tracciamento dell’asse della strada che doveva congiungere Capograssa al Quadrato: questa strada era particolarmente urgente, in quanto poi su di essa doveva venire collocata l’asta di binario che, staccandosi al Quadrato dall’anello della ferrovia consorziale di servizio, doveva provvedere al trasporto dei materiali occorrenti per i lavori di tutta la zona.
Questo tracciato risultò molto laborioso: esso era costituito da un unico rettifilo di sei chilometri, quasi del tutto attraverso la boscaglia, e doveva superare numerosi valloni, dei quali alcuni molto inarcati, come in corrispondenza dei fossi di Capo­grassa, del Piccarello e degli Spagnoli. Questi val­loni erano talmente ricoperti dalla vegetazione in­tricatissima di rovi e di piante palustri, sotto la quale passavano le acque di scolo, da presentare una seria difficoltà all’attraversamento con il trac­ciato da eseguire. Si diede inizio al tracciato sud­detto con il collocare sul punto corrispondente al centro del villaggio di Capograssa un’antenna di notevole altezza, con in cima un bandierone bian­co: una seconda asta con bandiera venne posta al punto di arrivo al Centro del Quadrato e precisa­mente in corrispondenza dello spigolonord‑est del vecchio fabbricato di proprietà della S. A. Fondi Rustici e Bonifiche Pontine, in quanto tale punto era già in precedenza servito di riferimento al tracciatodegli assi delle altre tre strade che allora fa­cevano capo al Quadrato.[2]
Fatto questo, vennero stabiliti dei punti inter­medi, ubicandoli nella parte più elevata della zona da attraversare; essi furono ricavati dall'esame del­le tavolette topografiche, in modo di trovarsi approssimativamente, data la misura grafica effettua­ta, sulla linea ricercata. Su questi punti intermedi vennero collocati altri segnali di notevole altezza.
Si dovette procedere a successivi tentativi con un paziente lavoro che tenne occupati gli operatori perqualche giorno: essi dovettero spostarsi di­verse volte al giorno per la boscaglia da un segnale all'altro su tutto il percorso, nonché tagliare le cime delle piante che impedivano la visuale. A se­guito di piccoli, opportuni e ripetuti spostamenti di posizione dei segnali anzidetti, si riuscì a por­tare questi sulla linea determinata dai due punti di estremità dianzi indicati.
Raggiunto questo risultato, una squadra di ope­rai, chiamati “macchiaroli” perché abitavano nelle lestre e che erano da preferirsi in quanto più pratici nelle lavorazioni boschive, diedero mano alle accette per effettuare il cosiddetto lavoro di sfilo, che consisteva nel taglio al suolo, per un paio di metri per parte, di tutte le piante in corrispon­denza della linea di cui sopra.
Fatta quest’ultima operazione, dal Quadrato si presentò attraverso la boscaglia un lungo corridoio che seguendo l'ondulazione del terreno si perdeva a vista d'occhio; all’estremità di esso, guardando attraverso il cannocchiale dei nostri strumenti to­pografici, si poteva vedere il segnale posto al cen­tro di Capograssa”.[3]
 
Perfezionato l’allineamento d'asse del­la strada da costruire, si passò subito all'ese­cuzione dei lavori.
Il primo lavoro fu quello di sfratta­mento e di dicioccatura per lo sgombero della se­de della strada e relative pertinenze dalle piante e dalle loro grosse radici. Queste ul­time risultavano spesso di dimensioni tali da richie­dere un certo dispendio di mano d'opera, cosicché si pensò allora di farle saltare con una carica di esplosivo. Per l’esecuzione di questo la­voro si formarono dei gruppi di operai che si specializzarono in questa attività.
Successivamente allo sgom­bero della vegetazione, si iniziarono, partendo dal Quadrato, i movimenti di terra per l'apertura delle trincee stradali e la formazione dei rilevati in cor­rispondenza degli avvallamenti; quando questi lavori furono terminati, sulla massicciata venne posto il binario décauville.
Sul finire della primavera del 1929, l’avanzata del binario proveniente dal Quadrato raggiunse le capanne della lestra di Capograssa e pochi giorni dopo il centro dove doveva sorgere il nuovo villaggio, assicurando così il rifornimento dei materiali occorrenti per la costruzione dei fabbricati del villaggiodi Capograssa. Si pose subito mano ai lavori relativi che vennero eseguiti direttamente dal Con­sorzio, interessando gli operai con cottimi di mano d'opera.
 

Il progetto del villaggio prevedeva la costruzione dei seguenti edifici:

 

1 fabbricato per le scuole e l'abitazione degli insegnanti;
 
1 fabbricato per l’assistenza sanitaria, con ambulatorio   ed abitazione;
 
1 fabbricato per dopolavoro e cinema, trasfor­mabile successivamente in magazzino ed annes­sa tettoia;
 
1 casa per il capo della futura Azienda Agraria, da impiegare provvisoriamente come ufficio di cantiere del Consorzio ed abitazione del perso­nale di assistenza ai lavori;
 
la Chiesa;
 
la Stazione per i Carabinieri;
 
3 caseggiati di alloggio per gli operai, trasformabili in case coloniche;
 
1 fabbricato per la dispensa viveri (botteghe e relativi alloggi);
 
1 fabbricato per il forno collettivo;
 
6 piccoli fabbricati di servizio (i cosiddetti “ru­stici”) annessi ai fabbricati principali;
 
3 fontanelle con lavatoio ed abbeveratoio, an­nesse alle case coloniche;
 
1 torretta in muratura, comprendente la cabina elettrica di trasformazione ed il soprastante ser­batoio dell'acqua potabile.
 
I tipi dei fabbricati furono, di massa, analoghi a quelli già costruiti negli altri villaggi; la scuola venne eseguita, con varianti di poco conto, sul tipo di quella di Casale dei pini; la Chiesa, con a fianco la torretta/serbatoio, somigliante ad un piccolo campanile, formava il complesso più artistico del centro. Con un’apposita variante al progetto originario, la chiesetta venne costruita con un’ampiezza ed un decoro architettonico che, dato l’ambiente selvaggio circostante, sembrarono in un primo tempo fuori luogo. Ma la boscaglia sparì, le campagne si popolarono di case e ai butteri e ai macchiaroli si aggiunsero migliaia di coloni veneti.
Lungo la strada per il quadrato venne costruito un centro colonico, composto dalla casa di abitazione con a lato da una parte la stalla e dall’altra il rustico per magazzino, forno, porcile e pollaio; due centri analoghi vennero costruiti lungo la strada per Colle Morello e Segheria di Fogliano.
Venne perforato un pozzo tubolare metallico, che a notevole profondità raggiunse una discreta falda acquifera nell’interno della massa sabbioso/argillosa della Duna Quaternaria. Dotato di una elettropompa fu in grado di assicurare il rifornimento idrico l villaggio
Con linee elettriche appositamente costruite, venne portata al villaggio la corrente per la illu­minazione di tutti i fabbricati e del piazzale cen­trale e, naturalmente, per il funzionamento della elettropompa dell'acquedotto.
Durante il periodo nel quale il Cantiere di Ca­pograssa svolse la sua attività, il villaggio fu collegato telefonicamente alla rete dei telefoni consor­ziali che partiva dalla sede di Roma e attraverso i centrali di Cisterna e del Quadrato si diramava a tutti i posti di lavoro disseminati nell'Agro.
Come per gli altri villaggi operai, il Consorzio di bonifica provvide, con le sue officine del Quadrato, a costruire ed installare gli arredamenti e le attrezzature per la Stazione sanitaria, per la Chiesa e per la Scuola elementare.
Nella Stazione sanitaria si stabilì in permanenza il personale dell' Istituto Antimalarico Pontino, mentre la scuola elementare iniziò subito il suo funzionamento.
Durante la costruzione dei fabbricati funzionò, in una baracca, uno spaccio di generi alimentari, la “dispensa” gestita da un certo Morbidelli quando il fabbricato delle botteghe fu ultimato, vi iniziò la gestione della spaccio la Vedova Leopardi di Cisterna.
Gli edifici vennero tinteggiati in rosso vivo nella parte superiore e in grigio chiaro nella parte inferiore. Questa coloritura, adot­tata per tutti gli edifici dis­seminati nella zona di bo­nifica (villaggi, case cantoniere. caseggiati colonici, ecc.) spiccava piacevolmente sulle tinte cupe del paesaggio boscoso e paludoso.
 
Come già detto, la costruzione del villaggio e degli altri lavori della zona fu affidata personale del Consorzio di Bonifica.
A capo del Cantiere furono il geom. Simone Fiore fino al settembre 1930, il geom. Ruggero Piemontesi dal settembre 1930 al settembre 1931 e il geom. Ottorino Perazzotti dal settembre 1931 in poi.
I tecnici anzidetti furono coadiuvati di volta in volta dagli assistenti Dante Chersoni, Adolfo Bovoli, Alfredo Benedetti e Severino Capiluppi, e dai contabili di cantiere Livio Perazzotti e Ferdi­nando Giardini. Si occuparono particolarmente della Chiesa, i signori Cecchini e Arienti.
Appena i fabbricati risultarono ultimati, vennero subito utilizzati al loro scopo, cosa che si poté effettuare in modo rapido e sicuro avvalendosi dell'esperienza acquisita e dell'organiz­zazione già in atto negli altri quattro villaggi che da qualche tempo erano in piena attività.
Come già avveniva negli altri Villaggi Consorziali, fu possibile dislocare anche in questa difficile zona del comprensorio uno stuolo di operai, che, con l'ausilio di potenti mezzi mecca­nici e sostenutida una complessa ed efficiente or­ganizzazione, poterono nel breve giro di pochi anni compiere una parte veramente notevole delle importanti opere di bonifica previste nella zona.
Tra queste opere ricordiamo la strada che congiunse Capograssa con le località Colle Mo­rello e Segheria. di Fogliano. Essa presentò, per il suo tracciato sul terreno, difficoltà anche maggiori di quelle presentate per la strada di collegamento Quadrato/Villaggio Capograssa.
“Per tracciare questo rettifilo di circa 5 chilometri e mezzo, la difficoltà maggiore non era dovuta al bosco ceduo, che in questa zona era particolarmente folto e alto per le piante ormai mature per il periodico taglio, quanto al fatto che sul percorso s’incontrava per tutta la sua larghezza la Duna Quaternaria, che toglieva ogni possibilità di traguardare direttamente con gli strumenti topografici.
Per superare questa difficoltà si dovette ricorrere all'impiego di un pallone di gomma di un metro e mezzo di diametro circa, rigonfiato d'idrogeno, che venne innalzato sull'antenna posta al centro di Capograssa per una altezza di oltre trenta me­tri; il pallone così fu visibile dall'altro punto pres­so la Segheria di Fogliano, il che rese possibile pic­chettare in modo rapido la linea d'asse della strada”[4].
 
Come per gli altri Villaggi di bonifica costruiti dal Consorzio di Piscinara, con la costituzione del Comune di Littoria, anche il Villaggio di Capograssa, in omaggio ai combattenti della guerra 1915-18 chiamati a colonizzare l’Agro Pontino, cambiò nome.
Il Podestà di Littoria, Valentino Orsolini Cen­celli, assegnò il nome di Borgo San Michele al Villaggio di Capograssa.
Il Monte San Michele del Carso fu teatro di sanguinose battaglie nelle quali rifulse il valore dei soldati italiani.
La conquista del Monte San Michele avvenne il 6 agosto 1916, nello stesso giorno in cui venivano strappati al ne­mico anche il Monte Podgora e il Monte Sabotino
Monte Podgora, Monte Sabotino e Monte San Michele erano stati per oltre un anno i caposaldi della difesa opposta dagli austro‑ungarici alla conquista italiana di Gorizia, conquista che poté finalmente essere raggiunta il 9 agosto 1916, dopo al­cuni giorni di asperrime azioni di guerra (la VI battaglia dell'Isonzo).


[1] G. BORTOLOTTI, Come nacque Borgo San Michele col nome di Capograssa, in: Economia Pontina, Latina, Giugno 1965
[2] Si trattava delle strade dal Passo Barabini al Quadrato, dall’Epitaffio al Quadrato e da Fogliano al Quadrato.
[3] G. BORTOLOTTI, Come nacque Borgo San Michele col nome di Capograssa, in: Economia Pontina, Latina, Giugno 1965
 
[4] G. BORTOLOTTI, Come nacque Borgo San Michele col nome di Capograssa, in: Economia Pontina, Latina, Giugno 1965