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La Storia dell'Agro Pontino

La Bonifica di Pio VI (1775-1794)

 

Pietro Incardona

 

I personaggi della vicenda si muovono come attori teatrali, su uno sfondo sempre uguale a se stesso, quella immensa distesa di stagni e boschi che si perde a vista d'occhio, dai tornanti dell' antica  strada Consolare, fino ai laghi costieri e al mare, da Sermoneta a Terracina : l'eterna mortifera palude.

Il regista dell'opera, Giovannangelo Braschi, romagnolo di Cesena, conservatore e propugnatore della pura autocrazia e, nello stesso tempo, aperto alle correnti innovatrici dell'illuminismo, può essere, senza ombra di dubbio, definito il padre della bonifica moderna.

Giovanissimo, intorno all'età di 18 anni, consegue la laurea Utroque Juro, divenendo segretario del Cardinale Ruffo, legato pontificio della Diocesi di Ostia e Velletri. Il suo soggiorno ai "castelli" deve avergli permesso di approfondire la conoscenza dello stato del territorio prossimo alla sua residenza, ovvero della immensa landa paludosa che si estendeva da Cisterna fino a Terracina, e di pensarne, sin d'allora, il risanamento idraulico.

Lo Stato Pontificio, che aveva i propri confini tra Cesena e Terracina, pur con notevole diversificazione dei territori, mostrava da un punto di vista idrogeologico, alcuni denominatori comuni che si possono individuare nelle zone paludose, per le quali nelle Romagne ed a Bologna già molto era stato fatto.

Salito al soglio pontificio nel 1775, con il nome di Pio VI (1775 - 1799), ebbe la visita di due compagnie, che oggi potremmo definire imprese, una di Lombardi e l'altra di Francesi, le quali si offrivano di eseguire, a varie condizioni, il prosciugamento delle paludi.

Non ritenendo saggio effettuare una scelta senza prima aver analizzato, con la dovuta cautela, un argomento che, peraltro, aveva condotto molti altri suoi predecessori all'errore, prese tempo e convocò per il 28 maggio 1775 una riunione alla quale furono invitati a partecipare quegli attori, non semplici comparse, che Lui riteneva in grado di leggere il copione che aveva in mente e di interpretarlo come Lui stesso desiderava.

Questi uomini, scelti non a caso ma ponderatamente e a seconda delle capacità intrinseche di ciascuno, sono Monsignor Pallotta, Tesoriere

Generale della Camera Apostolica, Monsignor Livizzoni , Prefetto dell'Annona, Monsignor Bolognini,    Governatore di Macerata, autore di  un'opera composta nel 1759, "Memorie  dell'antico  e  presente  stato  delle Paludi Pontine. Rimedi e mezzi per disseccarle a pubblico e privato vantaggio", attinente ai contenuti dell'incontro, nonchè il computista generale della Camera Apostolica.

La scelta degli attori dunque non è fine a se stessa, ma rientra in una sceneggiatura studiata nei minimi dettagli. Il Tesoriere Generale dovrà attendere al reperimento dei fondi per finanziare la realizzazione dell'opera; il Prefetto dell'Annona, per orientare i profitti delle produzioni agricole che ne sarebbero derivate dalla bonifica delle paludi; il  Governatore  di  Macerata, per  suggerire  le possibili soluzioni tecniche, in virtù appunto dello studio da lui redatto nel 1759.

Per l'incarico della redazione del progetto, il Papa si affidò al Cardinale Boncompagni, responsabile a Bologna della gestione delle acque, affinchè scegliesse il miglior tecnico sulla piazza, che il Cardinale individuò nella persona dell'ingegnere Gaetano Rappini, tecnico idraulico di provata esperienza, della provincia bolognese.

Rappini, su disposizione del pontefice si recò, nel gennaio 1777, nella pianura pontina, in compagnia del tecnico idrostatico Ludovico Benelli, per una prima verifica della situazione ambientale e "per rintracciare le cause della pertinace inondazione, di ritrovare i mezzi per seccarla, di calcolare la spesa di tale disseccamento e riaprire l'interrito porto Traiano di Terracina", come scrive Monsignor Nicolai nella sua opera.

Dopo la visita di Rappini, il pontefice ordinò la riperimetrazione del comprensorio, al fine di distinguerlo in circondario interno, dove avrebbero avuto luogo i lavori di bonifica con il conseguente aumento di valore dei terreni, per i benefici diretti che ne sarebbero derivati, e in circondario esterno, in cui ricadevano i terreni limitrofi di minor valore, che, comunque, usufruivano di vantaggi indiretti derivanti dalle opere di bonifica attuate.

Questa scelta del pontefice fa pensare che nella sua volontà esisteva l'idea di costituire, a lavori ultimati, un Consorzio di Utenti, ove gli appartenenti al comprensorio interno avrebbero dovuto corrispondere, per la manutenzione delle opere, un contributo di bonifica maggiore di quello dovuto per il comprensorio esterno, in virtù della diversificazione dei benefici derivanti e della  valorizzazione dei terreni, conseguita con i lavori di bonifica.

Dato il via alla progettazione delle opere, il Papa, attuando quello che potremmo definire un modernissimo concetto di realizzazione di opere pubbliche,  nominò  un  Commissario  nella  persona  dell'Abate Giulio Sperandini, con l'incarico di curare la predetta riperimetrazione del territorio, diprovvedere ad indennizzare i possessori dei terreni investiti dalle opere da realizzare e i titolari delle peschiere, che erano fonte di notevoli cespiti, delegandolo, infine, cosa rarissima per l'epoca, a procedere anche contro gli ecclesiastici.                                

Rappini, dal canto suo, si mise subito all'opera e nel primo trimestre del 1777,  provvide  alla  livellazione  del Rio Martino,  un antico cavo, come già detto di presunta epoca etrusca, attraverso il quale intendeva risolvere il problema dello scolo delle acque, utilizzandolo come collettore principale dell'intero comprensorio.

Nella sua relazione al Papa, Rappini, infatti, ci dice di essersi inoltrato nei siti più impenetrabili "con una squadra di guastatori", per eseguire le necessarie misurazioni.

Mentre l'ingegnere Rappini è impegnato in questi rilievi, riceve, il 17 gennaio 1777, una lettera del pontefice che esponeva l'idea, poi rivelatasi geniale, di scavare un grande canale a fianco della Via Appia, chiamato successivamente Linea Pio, per smaltire le acque dell'impaludamento.

Sulle prime il tecnico bolognese appare titubante nell'accogliere il suggerimento del Papa, ma una volta effettuati i necessari rilievi scopre che l'asse dell'escavando canale ha la migliore cadente e che, potendosi utilizzare alcuni tronchi d'alveo già esistenti, l'idea proposta risulti la più conveniente, in quanto, come  Rappini ripeterà nella sua relazione del 25 giugno 1777, asseconda la risoluzione della "natura" e della "economia".

Questa relazione progettuale è sottoposta, su espressa richiesta dello stesso Rappini, all'esame di due valenti tecnici bolognesi, ovvero Boldrini e Zanotti i quali, pur non avendo preso visione dei luoghi, solamente sulla scorta dei dati, approvano incondizionatamente il progetto.

Una volta garantiti da un prestito del Banco di Santo Spirito i fondi necessari per la realizzazione dell'opera, nel dicembre del 1777 hanno inizio i lavori, nei quali sono impiegati non meno di 3500 operai, con la preventiva demolizione e sgombero delle peschiere di Caposelce, procedendo da valle verso monte all'arginamento del Portatore, ossia da Badino fino all'Appia, per proseguire nell'estate del 1778 allo scavo del tratto del Canale Linea Pio, fra l'origine del Portatore e il Ponte Maggiore.

Nell'inverno del 1778, i lavori d’escavazione del Linea Pio continuarono per concludersi, all'altezza del Foro Appio, nel 1781, dopo aver percorso una distanza di metri lineari 21.539.

In questo periodo, si pone mano anche al restauro della Via Appia che, nel frattempo,  era  stata  invasa  dalle  acque, dal fango e da una fitta boscaglia, che la rendevano inutilizzabile al transito di mezzi e persone, imbellendola con una doppia fila di olmi, da Tor Tre Ponti fino alle porte di Terracina.                             

Per i lavori di ripristino furono utilizzati i grandi massi poligonali di lava basaltica dell'antica strada, che servirono, una volta ridotti in dimensioni assai modeste, alla realizzazione della nuova massicciata.    

Altresì furono realizzati, a destra e sinistra della "Regina Viarum", ben 39 canali di scolo,  denominati  migliarie,  per  la  distanza  di un miglio romano (metri 1500 circa) che intercorreva tra l'una e l'altra, nonchè si provvide allo scavo di altri canali quali il Botte, lo Schiazza ed il Selcella.

Il Papa, nel periodo 1780 - 1791, compie diverse visite nel comprensorio, per verificare di persona l'evolversi dei lavori, che vanno avanti, tra difficoltà di diversa natura, che oltre a rallentarne il corso, ne aumentano notevolmente i costi, che dai 105.448 scudi romani, preventivati da Rappini, raggiunsero la considerevole cifra, per l'epoca, di 1.621.983. Tuttavia l'opera potette dirsi a quel punto pressocchè compiuta, come può riscontrarsi nelle due piante realizzate dal geometra Serafino Salvati.           

I terreni sottratti alle acque, circa 30.000 ettari, vennero concessi in enfiteusi a diversi proprietari, che si calcola fossero di poco inferiori alle cento unità, fra costoro il Direttore dei Lavori, ingegnere Gaetano Rappini (ha 2.000) e il nipote del pontefice, Luigi Braschi - Onesti  (ha 5.000).     

Questi enfiteuti avrebbero dovuto costituirsi, nell'idea del Papa, in Consorzio, provvedendo a loro carico al mantenimento del territorio bonificato.           

La morte del pontefice, avvenuta nel 1799, e gli avvenimenti politici che si succedettero non permisero il positivo evolversi del programma e procurarono una nuova depressione, anche se non traumatica come era stato nel passato, a quel territorio.                                               

Il giudizio su Pio VI appare contraddittorio. Alcuni lo hanno innalzato a padre della bonifica, esaltandone apologisticamente l'impresa; altri, per lo più gli anticattolici, lo hanno criticato ferocemente, accusandolo di nepotismo e scelleratezza economica, avendo gratificato parenti e amici e sperperato ingenti risorse della Camera Apostolica.     

Fra gli accusatori è forte la critica del poeta Ugo Foscolo, che addebitò al Papa, in un libello pubblicato nel 1819, il "disordine delle finanze vaticane", come anche, per par condicio, il giudizio positivo (riportato  integralmente  nelle  prossime  pagine)  che  esprime sulla bonifica di Pio VI il grande poeta tedesco, Wolfgang Goethe, nel suo libro "Viaggio in Italia”.

In definitiva, non ci si può, comunque, esimere dal riconoscere che Pio  VI  ha  avuto  il   pregio   di   intraprendere  la  strada  giusta per giungere a quel risultato che, nessuno aveva mai sfiorato, ponendo, di conseguenza, le basi di quella continuità operativa che è stata e, ancora oggi, è  il segreto della bonifica moderna.

                

Da Napoleone al Consorzio degli Utenti (1799-1862)   

 

La bonifica attuata fin qui rappresenta, dunque, il primo passo verso l'individuazione di un  territorio  che  comincia a delinearsi, anche se in modo parziale, come area agricola di consistente produttività, con tutti i difetti,  però, del latifondo, che non persegue quella continuità di attenzioni alla cura della terra, principio  indispensabile, come la storia secolare ha dimostrato, per il mantenimento del risultato raggiunto attraverso le opere di bonifica ancora non del tutto consolidate.            

Se si aggiunge, poi, a questa carenza di attenzioni la situazione politica scaturita a seguito dell'avvento in Europa, e di conseguenza anche nella frazionata Italia del primo '800, di Napoleone Bonaparte, si capiscono le incertezze che frenarono, non poco, il successore di Pio VI a completare definitivamente l'opera di bonifica.

Questi, Pio VII (1799 - 1831), al secolo Gregorio Luigi Barnaba Chiaromonti, pur se assorbito da problemi di natura politica, derivanti dalle tensioni liberiste dei giacobini romani, sollecitate dal sostegno e dalla protezione francese, ebbe, comunque, il tempo, anche se di breve durata, di interessarsi del progetto del suo predecessore, cercando di intervenire, almeno con provvedimenti amministrativi, atti a garantire la conservazione di quanto di buono era stato già fatto in materia di opere idrauliche.

Fra questi atti si ricorda la Tassa di Miglioria, istituita nel 1799, che era più un incentivo a produrre, che una vera e propria gabella.

Questa "tassa", infatti, è applicata solamente ai terreni incolti, per un importo pari a nove paoli annui per ogni rubbio (ha 1,818) di proprietà; i ricavi finivano in una speciale "cassa" gestita dalla Camera Apostolica, che elargiva premi a tutti quei produttori che si distinguevano nel campo dello sviluppo agricolo.

In definitiva si trattava di un’intelligente "partita di giro", con la quale lo Stato Pontificio interveniva a sostegno dell’iniziativa privata, senza gravare sulle proprie finanze.

Nel 1809, Pio VII viene esiliato dai francesi e condotto in prigionia prima a Savona e poi a Fontainebleu, in Francia nei pressi di Parigi, interrompendo in tal modo il suo tentativo di completare l'opera di bonifica, così ben intrapresa da Papa Braschi.

In questo frangente, mentre i francesi si sostituiscono al potere temporale del pontefice, Napoleone, anche lui affascinato dai lavori della bonifica, ordina di riprenderli per completare quanto Rappini e i suoi successori Astolfi e Scaccia  non avevano terminato.

Per questo, nel 1810, l'Imperatore nomina una Commissione dell'Agro Romano, con il compito di studiare gli interventi da attuare e della  quale fanno  parte, oltre ad  altri  tecnici, anche il Sig. De Prony  ed il Conte di Fossombrone, che si interessarono esclusivamente della bonifica dell'area pontina.

De Prony, in particolare, vi soggiornò per due anni, dal 1811 al 1812, studiando il territorio in modo approfondito e raccogliendo numerose notizie e dati tecnici, che  si tradussero più in là (Parigi 1822)  in una importante opera tecnica dal titolo, "Description hidrographique et historique des marais pontins", nella quale riportava, oltre all'esame critico del progetto Rappini e degli interventi dei suoi successori Astolfi e Scaccia, anche le indicazioni sulle opere e gli accorgimenti che riteneva necessari per migliorare e completare il lavoro già effettuato, rivolgendo la propria attenzione, soprattutto, alla regolazione delle acque superiori con il loro avvio a mare, tramite il fiume Sisto in luogo del canale Rio Martino.

Durante questo periodo vengono effettuati lavori di miglioramento che riguardano lo stato dei Campi Setini e la regimazione delle acque dei fiumi Ufente ed Amaseno, proposti da De Prony ed approvati dal Consiglio Generale francese dei ponti e strade, nella seduta del 26 ottobre 1812.

L'esito della battaglia di Waterloo, con la conseguente deposizione di Napoleone, esiliato definitivamente nell'isola atlantica di S. Elena, segna la conclusione delle esperienze francesi nell'Agro Pontino, che lasciano, comunque, l'importante studio idraulico redatto da De Prony, i cui rilievi e dati tecnici risulteranno utili per gli interventi che verranno attuati successivamente.

Nel 1815, la grande coalizione europea, che aveva battuto l'aquila imperiale francese, reintegra Pio VII al governo dello Stato Pontificio, restituendogli il potere temporale, che gli era stato sottratto con l'esilio in terra di Francia.              

Il Papa non potè molto a favore dell'Agro Pontino. Difficoltà economiche e disordine amministrativo permisero soltanto la emanazione, nel 1819, di un Regolamento di Polizia per la tutela delle opere di bonifica già realizzate, atto amministrativo redatto da Monsignor Guerrieri, Tesoriere Generale dello Stato Pontificio.

Si continuò, tuttavia, a mantenere, a totale carico dell'erario, le opere esistenti, cercando in taluni casi anche di migliorarne la funzionalità.  

A Pio VII succede, nel 1831, Bartolomeo Alberto col nome di Gregorio XVI.

Sotto il suo governo, la Camera Apostolica, che di fatto si era assunta l'onere del costo delle manutenzioni delle opere idrauliche della bonifica pontina, riprese l'idea che Pio VI aveva partorito e che non aveva fatto in tempo ad attuare, ovvero la costituzione del Consorzio degli Utenti, a cui affidare l'onere di quelle costose manutenzioni.

Infatti, nel 1845, una circolare del Cardinale Gazzoli, Prefetto della Sacra Congregazione del Buon Governo, invita proprietari ed enfiteuti del territorio bonificato ad eleggere due rappresentanti per il Circondario esterno e due per il circondario interno, per la costituenda commissione "per l'esame dello stato delle opere e a che punto fossero giunti i lavori di completamento della bonifica".

Questi accertamenti, che di fatto rendevano palesi le intenzioni del governo pontificio, nonchè l'effettivo stato di incompletezza in cui trovavansi le opere di bonifica, crearono notevoli divergenze con gli agricoltori, che si protrassero fino al 1861.

In quell'anno, Pio IX (Giovanni Maria Mastai Ferretti) succeduto a Gregorio XVI nel 1846, dopo anni di disinteresse verso il problema pontino, decise, il 28 gennaio, di convocare, per il tramite del Ministro del Commercio e dei Lavori Pubblici, una Assemblea Costituente dei proprietari e degli enfiteuti per il 15 marzo, presso la Sede della Curia di Velletri. 

L'azione decisa del Papa non era frutto di un’ improvvisazione, dettata solamente da problemi di carattere economico derivanti dall'elevato costo del mantenimento delle opere di bonifica, ma dalla volontà di dar seguito al motu-proprio del 4 luglio 1788, con il quale Pio VI aveva stabilito i termini per affidare la gestione del territorio bonificato ai possessori dei terreni ricadenti nel comprensorio compreso tra le pendici delle colline e il fiume Sisto, per una estensione di circa 30.000 ettari, così come indicato nella mappa disegnata da Serafino Salvati nel 1793.                

In quest’Assemblea doveva essere eletta la "congregazione" consorziale, con l'incarico di redigere un regolamento di gestione dell'Ente, di programmare gli interventi manutentori da eseguirsi nel corso dell'anno, di stabilire le quote di contribuenza, per far fronte alla relativa spesa.

La legalità dell'Assemblea era fissata nella presenza del minimo di un  quinto  degli  aventi  diritto  al  voto;  in  mancanza  si sarebbe proceduto alla nomina d'ufficio dei membri della "congregazione" da parte del Monsignore Delegato di Velletri.

La notificazione ministeriale provocò una vivace reazione dei proprietari, che non ritenevano compiute le opere di bonifica e per tale motivo non sussistevano ancora, a loro detta, le condizioni per dar corso al contenuto finale del motu-proprio di Pio VI, ovvero alla costituzione del Consorzio.

Queste schermaglie di natura giuridica si risolsero con la concessione di un contributo di lire 250.000, destinato al completamento dei lavori, nonchè con la promessa di compartecipazione alle spese di manutenzione, nell'ordine del 25% da parte dell'erario e del 15% da parte delle Province di Frosinone e Velletri.                     

Quanto concordato fu enunciato nella Notificazione del 30 marzo 1862, che di fatto sancisce la nascita del Consorzio idraulico della Bonificazione Pontina.

 

 

La Bonificazione Pontina e la Bonifica di Piscinara.
 
La presa di Roma, nel 1870, da parte dell'esercito piemontese pone fine all'opera dei papi nella Palude Pontina, iniziatasi circa mille anni prima con la donazione di Carlo Magno e conclusasi con la istituzione del primo Consozio di Bonifica nel 1862.
Molto era stato fatto, ma ancora molto restava da fare.                      
La controversia circa il completamento della bonifica non ancora placata, investì il Governo italiano, che incaricò l'Ingegner Minottini, tecnico consortile, di redigere un progetto di massima, per il conseguimento dell'obiettivo oggetto della controversia.   
Il lavoro del tecnico incaricato fu presentato il 26 ottobre 1872 e da esso emerse che per il completamento della bonifica dovevano essere effettuati ulteriori interventi, per una spesa presunta di lire 1.000.000.           
Sulla base di questi dati fu stabilito di erogare al Consorzio della Bonificazione Pontina un contributo statale "una tantum", di lire 306.000, a parziale compenso per tale completamento. Restava, inoltre, confermato   il    principio,   precedentemente   fissato   dalla   Camera Apostolica pontificia, della partecipazione dello Stato e delle Province territorialmente competenti, alle spese di manutenzione delle opere idrauliche, nella misura del 40%.
Il Consorzio destinò l'intera somma percepita a titolo di contributo alla escavazione del Canale Diversivo di Linea (metri lineari 4884), resasi necessaria per preservare il Canale Linea dalle eccessive e pericolose immissioni torrentizie del fiume Amaseno in tempo di piena.    
Negli anni successivi, furono effettuati altri lavori, ma di poca importanza, come, ad esempio, la costruzione di alcuni ponti per l'accesso alla via Appia delle strade migliarie 45, 47, e 51.
La riduzione dell'attività per il completamento della bonifica era dovuta soprattutto alla impossibilità dei consorziati di far fronte alle ingenti spese che derivavano dalla normale manutenzione delle opere e dagli interventi correttivi che man mano la bonifica richiedeva, per il miglioramento della funzione idraulica della rete scolante.
Il 29 giugno 1882, presso la Prefettura di Roma, veniva stipulato fra lo Stato Italiano, rappresentato dal Cavalier Giovanni Rito, e il Consorzio della Bonificazione Pontina, nella persona del suo Presidente Marchese Gaetano Ferrajoli, l'Atto di Transazione, approvato con Legge 4 marzo 1886, che trasferiva all'Ente di Bonifica la proprietà di tutti i beni mobili e immobili, già di pertinenza della Reverenda Camera Apostolica.
Quest’atto faceva aumentare il peso dei costi di manutenzione e poneva dei seri interrogativi circa la sopravvivenza dell'ente consortile, che se le cose fossero rimaste invariate sarebbe stato costretto a chiudere battenti.
Ma fortunatamente lo Stato, il 18 giugno 1899, agli albori del '900 dunque, approva una Legge (n.236), poi assorbita dal T.U. 22 marzo 1900, n.195, che classifica le opere di bonifica in due categorie, sulla base della loro rilevanza, ed inserisce quelle del Consorzio della Bonificazione Pontina nella prima categoria, impegnandosi a corrispondergli, a partire dal 1906, un contributo di lire 2.500.000, per il completamento delle sue opere di bonifica.
In quest’occasione, è riconosciuta zona di bonifica di prima categoria anche quella parte di territorio, conosciuta come palude di Piscinara, nella quale si riversavano quelle acque superiori torrentizie, per il cui prosciugamento fu previsto un contributo statale di lire 3.500.000, a partire dal 1908.
A questo punto, come anche nel passato, si creano numerose aspettative nei piccoli proprietari e soprattutto nei grandi latifondisti, che intravedono la possibilità di ottenere ulteriori finanziamenti dallo Stato, per alleviare le già notevoli spese che la bonifica di quei tempi rendeva obbligatorie per il mantenimento delle opere idrauliche e la salvaguardia del territorio.
Ecco, dunque, profilarsi le insistenze del Duca Onorato Caetani a favore della bonifica della piana di Sermoneta e di Piscinara, ecco, ancora, quella del Principe Felice Borghese che, in qualità di Presidente del Consorzio della Bonificazione Pontina, chiede la integrazione del contributo riconosciuto per il completamento delle opere, e così via.
Tra la fine del 1899 ed il 1907, il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici  è sommerso di progetti, tutti finalizzati alla regimazione delle acque cosiddette "superiori" ed al completamento della bonifica pontina.                 
Fra questi si ricordano quelli dell'ingegner Di Tucci (1899), della Commissione Tecnica del Consorzio Pontino (1902), del Regio Genio Civile (1900-1903-1906), dell'ingegner Barra Caracciolo (1905), nonchè quello del Professor Intze di Berlino, per conto di un sindacato tedesco di imprese (1903).
Quest'ultimo, scelto dal Consorzio Pontino per giungere al tanto agognato completamento dei lavori, dopo varie vicissitudini, nel 1904, non fu ritenuto idoneo dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, che lo scartò, perchè considerato non conveniente.
Tra il 1907 ed il 1909, pur tra diverse divergenze con il Ministero dei Lavori Pubblici, il Consorzio mette in funzione i primi due impianti idrovori, destinati alla bonifica di due aree che, da diversi anni, risultavano incolte per il perdurare del ristagno delle acque.
Il primo impianto asserviva la vasta area del "Quartaccio" ed era costituito da due pompe centrifughe di portata mc. 2/1", ovvero capaci di sollevare 2000 litri d'acqua al secondo, alimentate da motrici a vapore.
Questo primo impianto idrovoro fu posto sul Canale Selcella, in prossimità di Forcellata, da cui prese il nome.
L'altro, invece, fu posto alla foce del fiume Ufente abbandonato per servire l'area di "Tabio" e "Pantani d'inferno". Quest’impianto idrovoro constava di una pompa centrifuga, alimentata da un motore a gas di 20 HP, capace di sollevare 600 litri d'acqua al secondo.    
L'Impianto idrovoro di Forcellata provocò un duro scontro fra i delegati del Consorzio, innanzitutto per il costo ritenuto eccessivo rispetto a quello preventivato e, in aggiunta, perchè l'opera garantiva il prosciugamento dell'area solo per il periodo primavera - autunno.
Lo scontro si estese al punto che coinvolse anche il sistema istituzionale del Consorzio, oltre al Presidente Borghese, che presentò le proprie dimissioni, poi respinte, e il Direttore Tecnico dell'Ente Barra - Caracciolo, che si ritirò, adducendo motivi di salute.                       
Nel 1912, il Governo stanzia per la Bonifica Pontina la somma di lire 5.000.000, per il completamento delle opere idrauliche, ma, nonostante la Prefettura di Roma invitasse la Deputazione Amministrativa del Consorzio a presentare la domanda di concessione per i lavori finanziati, non se ne fece nulla per le solite insofferenze che creava l'esecuzione del progetto di Piscinara, che, a detta dei Deputati, doveva precedere le opere di completamento della bonifica pontina.
Con l'entrata in guerra dell'Italia, nella tarda primavera del 1915, i problemi del territorio vengono accantonati, anche se le Amministrazioni, che si succedono (Borghese e Caetani) fino al sorgere del 1917, devono fare i conti con la crisi bellica, che fa lievitare i costi dei servizi e delle materie prime, con un vertiginoso aumento delle spese, che costringono il Consorzio a ricorrere ad onerosi mutui, senza poter contare sulla solita ciambella di salvataggio dell'intervento pubblico.
Il culmine di questa situazione disagevole si raggiunge quando l'aumento del costo del carbone fossile, destinato al funzionamento delle macchine a vapore degli impianti idrovori, provoca una crisi irreversibile con le dimissioni dell'Amministrazione e la nomina di un Commissario Straordinario, il 3 maggio 1917, nella persona di Gian Luigi Serra.
La gestione commissariale, che avrebbe dovuto durare per pochi mesi, si protrasse invece fino al 1927.         
Nel decennio 1917 - 1927 accadono molte cose tra le quali una importantissima, che segnerà la storia del territorio pontino per i successivi ottant’anni, ovvero la nascita di un nuovo consorzio.  
Siamo nel 1918, il giorno 18 del mese di febbraio, quando, presso il Comune di Cisterna, ha luogo l'Assemblea costituente del Consorzio di Bonifica di Piscinara, alla presenza di sette proprietari in rappresentanza di circa l'82% del comprensorio da prosciugare.
L'Assemblea, con sei voti favorevoli su sette approva la proposta di costituzione , che viene ratificata dallo Stato con decreto del 23 marzo 1919.
La prima Deputazione Amministrativa, presieduta dal Duca Leone Caetani, è composta dallo stesso e da Gelasio Caetani, Arnaldo Sessi, Giuseppe Ferri e Antonio Rosa.
Con l'ingresso della Società Bonifiche Pontine, proprietaria di rilevanti estensioni di terreno acquisite dalla famiglia Caetani di Sermoneta, nel Consorzio variano i rapporti di rappresentatività, per cui, nella elezione del 14 febbraio 1920, Gino Clerici, Amministratore delegato della detta Società, subentra a Leone Caetani nella presidenza del Consorzio.
Gli attriti tra confinanti non distraggono il Commissario della Bonificazione Pontina, Gian Luigi Serra, che, anzi, profonde numerose energie per il reperimento di fondi da parte dello Stato, con i quali, circa 18 milioni di lire, può realizzare numerose opere idrauliche, quali gli impianti idrovori di Caronte, Ceccaccio e Gricilli, il completamento di Forcellata e Tabio, nonchè i ponti sul Diversivo Linea, sul Botte e sul Collettore Mortula, oltre ad ulteriori lavori sull'alveo del Canale Botte, alla sistemazione del fiume Portatore e del Canale di Navigazione.  
Sulla politica gestionale dei due Consorzi di Bonifica grava, però, sempre quell'enorme equivoco tecnico che, da vent’anni circa, condiziona il processo di completamento della bonificazione pontina, la cui risoluzione è vincolata alla regimazione delle acque torrentizie provenienti dal bacino di Piscinara, per cui qualsiasi iniziativa di carattere idraulico, che investa i confini delle due realtà territoriali, deve essere attuata congiuntamente e simultaneamente.  
Questi problemi erano stati individuati dal progetto di massima   che l'Ingegner Giuseppe Marchi, del Regio Genio Civile di Roma, aveva redatto già nel 1918 e per la soluzione dei quali aveva ben pensato di suddividere il vasto comprensorio, circa 75.500 ettari, in due aree di bonifica, Piscinara e Bonificazione Pontina, divise tra loro dal corso del fiume Sisto.
La soluzione prevedeva un sistema idraulico di deviatori che avevano lo scopo di condurre le acque dei torrenti Teppia (per circa Km. 13,5) e Cisterna (per circa Km. 9) verso un canale circondariale, per farle sfociare a mare, dopo un percorso di circa Km. 10, in località Foce Verde.             
Quest’artifizio avrebbe permesso di convogliare le copiose acque esterne dei bacini montani settentrionali, evitando in tal modo il sovraccarico del sistema scolante Ninfa-Sisto, causa delle continue e pericolose tracimazioni, nel periodo invernale, che sconvolgevano i tentativi di coltivazione dell'area pedemontana setina.
Inoltre, era stato previsto un altro canale circondariale che avrebbe raccolto, in località "Congiunte", le acque medie provenienti dalle numerose sorgenti naturali, di cui era ricca la fascia di terreni immediatamente a valle delle colline, e dagli apporti meteorici del comprensorio interessato, per condurle, poi, a mare tramite il Rio Martino.
Ma in quel periodo storico di intensa trasformazione della società italiana le conflittualità derivanti dai diversi interessi dei grandi proprietari del latifondo, delle lobby, delle Società finanziarie e degli speculatori senza scrupoli, che volevano utilizzare, ciascuno per il proprio specifico interesse, il "fenomeno bonifica", fecero esplodere il caso della Società Anonima delle Paludi Pontine, guidata dall'imprenditore milanese Gino Clerici , che ricopriva, come già accennato, anche la carica di Presidente del Consorzio di Bonifica di Piscinara.  
All'atto del suo insediamento come Presidente del Consorzio, Clerici pensò di utilizzare quale piano di bonifica il progetto Marchi, al cui redattore propose anche la direzione tecnica dell'Ente, poi affidata all'Ingegnere Di Tucci.
Le fasi successive dell'annoso problema coinvolgono il progetto dell'Ingegnere Marchi, che viene rivoluzionato dall'Ingegnere Angelo Omodeo che, quale consulente tecnico del Consorzio, prospetta la realizzazione di una diga in prossimità di Giulianello, ove trattenere le acque dei torrenti Teppia e Cisterna, che il Marchi aveva previsto   di inalveare    in   un   canale   circondariale,   smaltendole successivamente e gradualmente, alimentando, così, centrali elettriche e utilizzandole a scopi irrigui.
Questo tipo di trasformazione e la sussidiareità del Consorzio nell'impresa crea una insanabile spaccatura all'interno dell'Ente consortile, che porta, anche sulla spinta emotiva dello scandalo delle "Pontine", prodotta dall'inchiesta governativa condotta dal Senatore Cassis ,  Gino Clerici ad una clamorosa battuta d'arresto, in occasione del rinnovo della carica presidenziale nel dicembre del 1924, che vede prevalere per pochi voti Ulisse Igliori.
Quest'ultimo non avvezzo alle lotte intestine di potere non regge alle sempre più forti tensioni che si scatenano all'interno del Consorzio, e dopo poco  più  di undici  mesi, rassegna  le proprie  dimissioni  sia  da Presidente che da Delegato, giustificandole con la necessità per la conduzione dell'Ente di una presenza assidua e continuativa che i suoi impegni professionali non gli consentono.
Nel comunicare la rinuncia, nel novembre del 1925, alla Deputazione Amministrativa suggerisce quale suo successore l'Ingegnere Natale Prampolini, stimato professionista di Reggio Emilia con esperienze di bonifica nella Bassa Polesana.
Il tecnico emiliano succede, dunque, ad Ulisse Igliori ottenendo dall'Assemblea dei Delegati un riconoscimento unanime, che gli conferisce da subito un'aurea magica che gli permetterà di raggiungere, in poco tempo, risultati inimmaginabili per quei tempi.  
Per sua iniziativa il Ministero dei Lavori Pubblici, nel gennaio del 1926, incarica l'Istituto Geografico Militare  di Firenze di effettuare i rilevamenti con curve di livello della giacenza dei terreni e la portata e pendenza dei canali esistenti.
Contemporaneamente lo stesso Ministero incarica l'Ingegnere Pietro Pasini di procedere alla progettazione degli interventi necessari per la risoluzione dei problemi di Piscinara.
Gli argomenti tecnici di attualità restavano sempre gli stessi, dovevano prevalere i canali di derivazione previsti dall'Ingegner Marchi, oppure la diga dell'Ingegnere Omodeo? Nulla di tutto ciò, se non l'emergere della forte personalità di Prampolini, il cui ascendente permette un esame sempre più attento dei problemi, senza lasciarsi tentare da novità tecniche innovatrici, foriere, spesso, di clamorosi e costosi flop.
La politica attenta e scrupolosamente tecnica di Prampolini non sfugge al Capo del Governo dell'epoca, Benito Mussolini, che si adopera, affinché il 17 novembre 1927, Vittorio Emanuele III ne decreti la nomina   a commissario dei due Consorzi di Bonifica.
L'unificazione  tecnico - amministrativa dei due Enti (Bonifica di Piscinara e Bonificazione Pontina) non nasceva dalla volontà di accentrare un così ampio potere decisionale in una sola persona, ma da una indiscussa necessità di conseguire il completamento   dell'opera di bonifica, i cui lavori, per oltre 60 anni, erano stati rallentati e, talvolta, paralizzati dai continui e velleitari contrasti che si scatenavano fra le due scuole di pensiero. 
 
Note sull'ambiente e gli uomini nell'economia pre-bonifica.
 
Il territorio Pontino è idealmente diviso in due regioni dalle caratteristiche morfologiche ed ambientali profondamente diverse.
Il confine fra queste due zone è rappresentato dal fiume Sisto.
Nei primi anni del Novecento, antecedentemente ai grandi lavori di bonifica,   si   può   ammirare    una    zona   boscosa    selvaggia  ed impenetrabile che si estende fra il fiume Sisto ed il mare nel tratto che va, all'incirca, tra Nettuno e Terracina.
Questa zona, genericamente denominata "La Macchia" ha una quota media di 20/30 metri sul livello del mare ed è abitata dai "Guitti", provenienti da quei   paesi dei   Monti   Lepini   posti   a corona del
territorio pontino, da Ciociari e da Abruzzesi, ingaggiati dai tristemente noti Caporali, per conto di imprenditori o di grossi proprietari terrieri locali.
Gli abitatori della Macchia risiedono in gruppi di capanne, raccolti in radure chiamate "Lestre", dove la vegetazione di alto fusto è più rada o è stata preventivamente abbattuta.
Di norma i Contadini dei Lepini si dedicano ad un’Agricoltura transumante e di rapina (fieno, granturco, ecc.), i cui tempi sono scanditi dalla recrudescenza malarica, poichè la stagione dura dalla "ricalata" di ottobre al ritorno in collina, che coincide con i primi caldi di fine maggio.
In estate la Macchia, in ogni modo, rimane abitata dai boscaioli (travi, traverse ferroviarie) e dai carbonai abruzzesi (carbone, fascine di legname minuto), che continuano imperterriti la loro attività, sotto l'occhio vigile degli eroici medici e dei non meno eroici cursori della Croce Rossa Italiana.
I Guitti, propriamente detti, sono la manovalanza generica dei proprietari terrieri, che praticano un'agricoltura estensiva, che però, in alcuni casi, di proprietari o di imprenditori illuminati, cercano di modificare con tentativi di coltivazioni innovative. Per tutti valga l'opera di Francesco Cirio, dei Marchesi Ferrajoli e di Don Leone Caetani che in ragione di un Socialismo Umanitario molto fanno per questi sfortunati figli della Palude.
Delle due zone del territorio pontino si deve ora parlare dell'altra posta tra il fiume Sisto ed i Monti Lepini, nel tratto che va da Cisterna a Terracina.          
Questo territorio, nella parte che è compresa tra la Via Appia e i piedi dei Monti Lepini, presenta punti di massima depressione relativi a vastissime zone e posti alla quota di 1-2 metri al di sotto del livello del mare.
Come è noto è stata questa parte del territorio l'oggetto del grandioso tentativo di bonifica dovuto a Papa Pio VI, Braschi, realizzatosi alla fine del diciottesimo secolo (1777-1795).
Per questa ragione e per gli interventi del Consorzio della Bonificazione Pontina, costituito coattivamente nel 1862, in questa parte del territorio è praticabile un'agricoltura certamente più razionale  di quella della Macchia.   In questa  zona  il  Consorzio della Bonificazione Pontina, tra l'altro, ha realizzato nel 1907 un primo impianto idrovoro funzionante a vapore  (Forcellata) che allunga  per  così dire, i tempi di coltivabilità del bacino di Quartaccio, ricco di terre fertilissime.
Nelle paludi fioriscono i mestieri più strani come quelli : del Ranocchiaro (raccoglitore di ranocchie per i ristoranti romani); Mignattaro (raccoglitore di sanguisughe per uso sanitario);
Cacciatore (professionista venatorio che forniva la selvaggina a trattorie e ristoranti).
La conclusione di queste sintetiche note è riservata ai Butteri, che seguono  l'allevamento del bestiame grosso (cavalli, bufali ecc.) ed  ai Pecorai, che nella loro transumanza verso la Selva Marittima, divengono anche loro abitatori del territorio pontino.
Da ultimo si ricorda Cisterna, la patria dei Butteri Pontini, che ha dato i natali ad Augusto Imperiali. Questi è stato protagonista dell'avventura di sconfiggere in una gara i Cow-boys del circo viaggiante, che il Colonnello William Cody (Buffalo Bill) ha condotto dagli Stati Uniti per stupire la vecchia Europa, la quale però ha dimostrato di avere un angolo del lontano West, alle porte della Città Eterna.